La foto



Raccolsi la foto scivolata tra la testata del letto e la parete. Da dietro la polvere di mesi di pulizie poco approfondite due figure mi osservavano sorridenti, apparentemente appagate da quell’esistenza dentro un attimo rubato al tempo. Non ricordavo quella fotografia, eppure mi ritraeva così felice.

Iniziai a cercare particolari che potessero aiutarmi a riconoscere il luogo e la data dello scatto: una fila di lampioni che dipingevano d’ambra una strada deserta, il profilo di una rocca appena illuminata sullo sfondo e il basso rilevo delle curve di sabbia di una lunga spiaggia.

Improvvisamente ricordai tutto.



Era l’estate di qualche anno prima. Laura era così bella quella sera: i suoi occhi sembravano più grandi del solito e il suo ciuffetto ribelle scendeva dalla fronte al mento in un’elegante spirale che mi ipnotizzava ogni volta. Non era vestita in modo troppo elegante. Come al solito aveva trovato il perfetto mix tra curato e trasandato che le donava un’interessante aria da giovane intellettuale.

Avevamo litigato quella sera, in una lunga e appassionata discussione sul tipo di scelta politica di ogni individuo e sulla cooperazione tra gli uomini necessaria a cambiare il mondo. Quella differenza di idee così marcata mi faceva sempre paura. Com’era possibile continuare la nostra storia senza poter condividere con lei le mie scelte più ferme?

Fu allora che mi propose una passeggiata sulla spiaggia. Come al solito non seppi dire di no al suo sguardo così profondo e lasciai perdere i miei dubbi o meglio ci provai visto che, per quanto mi fossi sforzato, non riuscii a togliermi quei pensieri dalla testa.

“Ci facciamo una foto?”

Mi svegliai come da un sonno leggero: aveva parlato a lungo durante la passeggiata ma io avevo continuato a pensare a quelle nostre differenze che mi impensierivano tanto.

Tirò fuori dallo zainetto la sua fotocamera compatta e allungò il braccio cercando di sistemare alla meno peggio l’inquadratura.

“Sorridi.”

E io sorrisi, esibendomi in una smorfia forzata ma estremamente convincente. Nella foto sembravo talmente felice da ingannare perfino me stesso.



Il ricordo di quel sorriso ipocrita mi regalò una spiacevole sensazione di profondo disgusto. Mi chiesi cosa fare di quella foto che per me rappresentava solo un sottile tentativo di modificare ad arte il mio ricordo di quella serata da dimenticare.

Mi adagiai pensieroso sulla poltrona e stavo proprio per strappare la foto quando Laura entrò nella stanza sorridente e notò subito la fotografia che stringevo in mano. La prese curiosa e, con un energico soffio, tolse la polvere che la ricopriva.

“Una delle mie foto preferite. Pensavo l’avessimo persa. Che ne dici se ne facciamo un quadretto a ricordo di quella magnifica serata?”

“D’accordo.”, risposi.

Salvatore Teresi

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Jazz



La playlist continuava a scorrere facendomi venire i brividi sulla schiena e la pelle d’oca alle braccia. L’avevo composta con cura: ogni singolo brano mi trasmetteva delle emozioni forti, di quelle che ti fanno prima alzare lo sguardo, poi chiudere gli occhi e infine sognare.

Quella notte non avevo alcuna voglia di dormire e tentavo di rendere fruttuose le ore di veglia scrivendo un racconto. Usavo spesso la musica come musa per l’incipit dei miei racconti.

Dal vibrare potente del contrabasso al soffio delicato del flauto traverso, dalla danza dei martelletti sulle corde del pianoforte alla voce nasale del clarinetto. Ogni suono amplificava parti sconosciute di me. Apriva cassetti nascosti.

Jazz”, così si chiamava la playlist che avevo scelto quella volta dopo un breve indugiare del puntatore sulla raccolta dei cantautori italiani.

C’era un lento assolo di una tromba con sordina quando vidi delinearsi piano piano una figura che, al lento ritmo che le spazzole battevano sul piatto, si allontanava da me. Era un anziano uomo che, un po’ ricurvo su se stesso, si avviava verso chissà dove trascinando un piede dopo l’altro.


Mi sfilai le cuffie dalle orecchie. Toccava a me dirigere l’orchestra.


Il vecchio uomo vestiva una camicia di seta bianca, leggermente sbottonata vicino al collo, infilata in un paio di pantaloni di lino beige con una cintura di pelle marrone. Ai piedi un paio di sandali di ottima fattura del tipo di pelle della cintura.

L’anziano camminava su un marciapiede costeggiando un alto edificio di mattoni rossi. Nessuna auto in strada. Iniziai a correre nella nebbia che precede l’alba e lo raggiunsi in un attimo. Naturalmente, non poteva vedermi.

Lo guardai in viso. Trovai un’espressione triste e rassegnata. Decine di rughe gli solcavano il volto come cicatrici di una vita che non ci era andata leggera. Iniziai a camminare accanto a lui.

Passo dopo passo, una figura imponente si staccava dalla nebbia. Era uno dei due piloni del Bay Bridge, il famoso ponte di San Francisco. Il vecchio iniziò a percorrerlo fermandosi di tanto in tanto per chiudere gli occhi e sentire il vento spingere deciso sul suo volto.

Esausto ma determinato a raggiungere la propria meta, l’anziano uomo si trascinava appoggiandosi alla balaustra ferrosa. Ad un tratto il vecchio si fermò e, con estrema diifficoltà, si piego sulle ginocchia.

Su uno degli infiniti piloncini metallici della balaustra erano incise due lettere consumate dalla ruggine degli anni. Un cuore stilizzato segnato con tratto incerto le incorniciava insieme ad una data ormai illeggibile.

L’uomo poggiò la sua mano nodosa sulla vecchia incisione, come a voler ricercare nel freddo metallo un’emozione scomparsa nel tempo. Una lacrima si perse nell’umidità mattutina che ricopriva il ponte.


Qualche ora più tardi, due sandali di pelle giacevano vicino la balaustra pedonale quasi a metà del Bay Bridge di San Francisco. Erano davvero di ottima fattura.

Salvatore Teresi




[L’immagine del post è in vendita su Art.com]

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Welcome To The Sea contro il bavaglio



Il mio ultimo tweet: “Un triangolino giallo non cambierà molto ma dice al mondo che io non ci sto! #noalbavaglio

L’idea di questa protesta, che si affianca al popolo dei post-it e alle altre iniziative -virtuali e non- contro la legge bavaglio anti-intercettazioni, è venuta ad Insopportabile, noto utente twitter italiano che supera i duemila follower.

È una protesta muta che si serve di un semplice triangolino giallo da aggiungere al proprio avatar. Un triangolino che diventa un marchio a fuoco per tutti coloro che non ci stanno. Per tutti quelli che non vogliono farsi scivolare addosso anche questa ennesima norma impopolare e profondamente dannosa per il paese.

Io non ci sto! E tu?

Se anche tu vuoi partecipare a questa iniziativa puoi facilmente aggiungere il triangolino al tuo profilo Twitter o Facebook a quest’indirizzo.
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Il gatto


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Il cielo tuonò improvvisamente e Francesca staccò lo sguardo dal computer portatile sulla sua scrivania e si girò di scatto verso la finestra. Non pioveva ancora. Per l’ennesima volta il mondo sembrava immobile, bloccato in un limbo dello spazio e del tempo da una luce grigiastra che pesava sui tetti. L’orizzonte era coperto da nuvole scure in tutte le direzioni e anche il cielo era grigio ma la pioggia tardava ad arrivare. Quell’anno era capitato spesso.

Stavolta, però, il temporale era solo questione di minuti perché, ovunque, le rondini volavano veloci verso il proprio nido coscienti che, di lì a poco, l’acqua avrebbe reso più difficili i movimenti delle ali. Dopo una rapida occhiata all’orologio del portatile, Francesca sbuffò seccamente scoprendo che era già ora di cena. Un post-it appeso sulla credenza la avvisava che avrebbe cenato da sola.

Una volta aperto lo sportello del frigo afferrò annoiata la bottiglia di latte scremato che aveva aperto il pomeriggio precedente e ne versò una buona quantità in una tazza piena di cereali. Non aveva alcuna voglia di cucinare.

Consumata velocemente la cena improvvisata, il pensiero andò subito al capitolo di letteratura inglese che non era riuscita a completare e che occupava prepotentemente l’intero schermo del portatile. Si avviò a passo svelto verso la scrivania credendo che avrebbe continuato a studiare ma, appena seduta, si rese conto che non ne aveva alcuna voglia e chiuse lo schermo del notebook con un movimento rapido ma pieno di soddisfazione mentre un furbo sorrisetto le si dipingeva in volto evidenziando la fossetta che aveva sulla guancia destra.

Il cielo tuonò ancora con un suono sordo chiamando Francesca alla finestra. Stava diluviando e fulmini caduti chissà dove illuminavano il cielo facendo più flash di un paparazzo scatenato davanti alla celebrità del momento. Un temporale così non si vedeva da tempo.

L’attenzione della ragazza fu richiamata dal miagolio lamentoso di un gatto che, zuppo, cercava di ripararsi come meglio poteva sotto l’arco del cancelletto in giardino. Francesca non era una grande amante degli animali ma quel gatto le fece una tale pena che decise di tentare di avvicinarlo per portarlo in casa a scaldarsi.

Presa una scatola sufficientemente capiente uscì in giardino e si avvio verso il gatto mentre rivoli di pioggia le scendevano dai capelli sulle gote. Soffiava un vento fortissimo che costringeva la pioggia ad una caduta profondamente inclinata. Il felino, spaventato da quella figura sconosciuta, fece come per andarsene ma il rumore dei croccantini nella scatola gli ricordò la sua vecchia famiglia e lo portò a tornare sui suoi passi e ad entrare nella scatola che intanto era stata poggiata sull’erba.

Francesca portò la scatola in casa mentre il gatto, di nuovo impaurito, si era stretto in un angolo cercando di farsi piccolo. Arrivata in casa, la ragazza poggiò la scatola sul tappeto del soggiorno e si mise ad osservare il gatto che poco a poco andava calmandosi mangiando i pochi croccantini rimasti sul fondo.

Francesca riempì un piatto di croccantini sperando che il gatto, una volta terminata la portata, sarebbe uscito dalla scatola in cerca di altro cibo e di calore. E così fu.

Il micio uscì con un movimento elegante e si chinò sul piatto per continuare il pasto interrotto. Ascoltando le rassicuranti fusa del gatto Francesca raccolse tutto il suo coraggio e allungò la mano sul peloso collo del felino il quale, dopo un iniziale attimo di sospettosa esitazione, tornò al suo piatto lasciandosi accarezzare dalla ragazza.

Il temporale primaverile era finito, anche se le nuvole coprivano ancora il cielo impedendo la vista delle prime stelle della sera. Francesca aprì la porta di casa sicura che il gatto, sazio e asciutto, sarebbe schizzato via senza voltarsi indietro ma così non fu: dopo due giri su se stesso il felino si era sistemato sul tappeto ed aveva cominciato a ronfare. La ragazza chiuse la porta e lasciò che il gatto passasse la notte a casa sua.

Al mattino Francesca fu svegliata da un potente raggio di sole sugli occhi. Arrivata in soggiorno trovò il tappeto vuoto e si mise a cercare il gatto sperando di non trovare troppi danni in giro per casa. Durante la ricerca si fermò di scatto vedendo che la scatola che aveva usato per portare il gatto dentro casa era ancora sull’armadio, piena delle sue scarpe vecchie, come sempre. Non ricordava di averla rimessa lassù.

Ritornò in soggiorno e si accorse che era scomparsa dal tappeto la grossa chiazza d’acqua e fango che il gatto aveva lasciato uscendo dalla scatola. Doveva aver sognato. Non c’era altra spiegazione. Avrebbe dovuto capirlo da quella scatola di croccantini per gatti arrivata da chissà dove.

Ancora col pensiero fisso a quello strano sogno così reale, la ragazza si vestì e uscì da casa diretta in facoltà. Aprì la porta strizzando gli occhi colpita dal forte sole di quella mattinata, attraversò il giardino frugando nella borsa a tracolla alla ricerca delle chiavi del cancelletto. Trovatele lo aprì per poi fermarsi subito dopo, come fulminata.

Il gatto la osservava con fare interrogativo dall’altra parte della strada. Francesca lasciò cadere la tracolla e il felino scappò in direzione delle campagne, spaventato.

La ragazza cerco di seguirne il percorso ma poi, accecata dalla luce del sole, lasciò perdere e si chinò a raccogliere la tracolla e gli appunti che ne erano usciti. Camminando verso la facoltà un ampio sorriso le illuminò il volto: tornando a casa avrebbe acquistato una scatola di croccantini per gatti.

Salvatore Teresi

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Welcome To The Sea diventa social


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In attesa dell’apertura del nuovo dominio IppoBlog.it, Welcome To The Sea diventa un po’ più social con l’adozione dei Like Button di Facebook per ogni nuovo post. Il pulsantino Mi piace è un’occasione unica di trasformare i numerosi visitatori occasionali di Welcome To The Sea in promotori dei contenuti del sito sul noto social network.

Quando un lettore clicca sul pulsante Mi piace, infatti, condivide sulla sua bacheca il link al post che ha gradito, diventando facilmente vettore di nuove visite per Welcome To The Sea.

In aggiunta a quanto detto, il nuovo pulsantino consentirà ai lettori di esprimere un’opinione immediata su quanto hanno appena letto regalandomi un feedback diretto che non avrei mai ricevuto con i soli commenti.

Oltre all’arrivo del pulsante Mi piace è stata riscritta la sezione L’autore con i collegamenti ai maggiori social network, presenti anche nella sidebar di Ippoblog insieme al link alla pagina ufficiale di Welcome To The Sea su Facebook.

Salvatore Teresi

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Monologo breve


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Cammino, in salita. In cerca della verità. Cammino in un mondo che nasconde la verità nella nebbia dell’ipocrisia. Cammino e sento in giro che non c’è la verità.

Dicono che la verità non esiste perché ciascuno ha la propria. Dicono che la verità è un’opinione. Dicono che tutto cambia se si guarda da un’altra prospettiva, anche la verità. Dicono che ogni cosa è relativa e che quindi non può esistere una verità assoluta.

Dicono che a cercare la verità si perde tempo, come a cercare Dio.

Appunto.

Salvatore Teresi

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Colori


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Ti auguro di colorare il mondo in bianco e nero che troppo spesso vedi intorno a te.

Con il giallo del sole.
La luce che tu stesso emani e con cui illumini il mondo. La luce che, invece, ricevi dal mondo. La luce che arriva dallʼalto.

Con il verde della speranza.
Speranza nel futuro. Speranza di una vita come salita continua, senza pause. Speranza in te stesso. Speranza nellʼaltro.

Con lʼazzurro del cielo sconfinato. Perché tu possa puntare più in alto di quanto riesci ad immaginare. Perché tu capisca che non cʼè un limite alle tue possibilità se non quello che ti poni.

Con il blu dellʼoceano.
Perché tu possa navigare per il mondo senza paura di perderti.

Con il rosso della passione.
Passione per le persone che incroci nella tua strada, perché tu possa aprirti a loro ed avere confronti costruttivi. Passione per lʼimpegno politico e sociale, perché tu creda fermamente che puoi cambiare il mondo intorno a te semplicemente con la volontà. Passione per lʼarte, perché tu riconosca in un libro, in un quadro, in un film, non un semplice oggetto ma lʼimpegno dellʼautore di donarti parte di se stesso.

Passione per la vita, perché tu, come un bambino, possa continuare a meravigliarti fino alla fine delle infinite sfumature del mondo che puoi notare semplicemente guardando un poco più in la di dove guarda la maggioranza.

Duc in altum.

Prendi il largo.

Perché una barca a vela non è fatta per rimanere ancorata nel porto ma per navigare nellʼoceano.
Non aver paura di allontanarti dalla riva. Non aver paura di affrontare la tempesta. Se non rischierai di capovolgerti in mare aperto avrai sprecato il tuo tempo.

Salvatore Teresi

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Perfezione casuale


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A passo di gatto ti muovi cauta,
riscaldi i cuori di chi si meraviglia,
raffreddi quelli di chi è già freddo,
sei perfezione casuale,
musa dell’arte,
corda d’arpa del vento,
ballerina del cielo,
pioggia di platino.
Neve.

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